“Ahimsa Pratishthayam Tat vaira-tyagah”

Quando uno Yogi è fermamente radicato nella non violenza, le persone che ad egli si avvicineranno perderanno naturalmente ogni sentimento di ostilità.  Patanjali Yogasutra 2:35

Il primo intento: non subire e non agire con violenza.

Il primo intento che prendiamo è “che io possa non essere soggetto né oggetto di violenza”. Spesso pensiamo che la non violenza debba essere praticata nei confronti degli altri senza capire che quando sono interiormente ferito, quando accetto la violenza su di me, è inevitabile che io ferisca gli altri .

C’è una storia dell’india, quella del serpente e dello Yogi, che rivela l’essenza della non violenza :

C’era una volta un grande e pericoloso cobra che viveva in un villaggio e che avrebbe morso chiunque si fosse avvicinato troppo a lui. Uno Yogi arrivò in quel villaggio e un giorno decise di praticare accanto all’albero dove si trovava il rifugio del cobra. Il cobra allora si avvicinò e sollevatosi come per morderlo si rese conto che lo yogi non aveva intenzione di fargli del male e quindi non lo attaccò. Al contrario gli chiese tutto ciò che sapeva sullo yoga e lui gli rispose che sarebbe tornato dopo un anno e gli avrebbe insegnato tutto ciò che voleva a patto che per quel periodo il serpente avesse praticato ahimsa, la non violenza.

Così il cobra si impegnò nella pratica di ahimsa, ma la gente del villaggio, vedendo che anche avvicinandosi il serpente non era più pericoloso, iniziò a tirargli pietre e bastoni per provocarlo e per prendersi gioco di lui.

Trascorso un anno il cobra era vicino alla morte. Lo yogi arrivò e vedendolo in quello stato gli chiese cos’era successo. Il cobra allora raccontò del suo impegno in ahimsa e di come non avesse attaccato nessuno nonostante le torture della gente del villaggio.

Lo yogi rispose – “Ti ho detto di praticare la non violenza, ma non ho mai detto che potevi subirla”.

C’è una verità eterna ed indissolubile: noi siamo uno.

Non esiste separazione ed ogni atto di ribellione a questa legge porta disarmonia, porta rabbia e buio. E’ un nostre dovere prendere una grande decisione: portare luce e gioia con i nostri atti, pensieri e parole senza mai discostarci da questa scelta e fare di questa la nostra bandiera. Comunicare noi stessi e le nostre intenzioni, accettarci nelle debolezze e nei controsensi, avere uno sguardo d’amore nei confronti dell’altro e forzare noi stessi a vederne il divino anche quando sembra tutto fuorché miracoloso chi abbiamo di fronte.

Noi siamo creatori della nostra realtà.

Noi siamo un tutt’uno con ciò e chi ci circonda.

Noi possiamo scegliere se essere vittime proprio quando guardiamo chi abbiamo di fronte come carnefice. Ahimsa invece ci invita a osservare dentro di noi e a chiederci perché ci sentiamo feriti.

Cos’è 10 settimane di Sadhana? Sadhana in india significa disciplina spirituale ed indica l’insieme di quelle pratiche, studi e riti svolti con dedizione e regolarità per raggiungere Moksha: il riconoscimento della propria natura divina. La sadhana che viene qui praticata si ispira ai 10 yama e nyama di Patanjali, i divieti e le osservanze dello stile di vita yoga. Ogni settimana viene affrontato uno di questi temi cercando di portarlo anche fuori dalla sala di pratica ed utilizzando la nostra vita quotidiana come laboratorio.

Condividi sui social
Hai domande? Chat via Whatsapp