Uno dei doni del guidare una lezione di yoga è l’attitudine a dilatare lo spazio tra la causa e l’effetto. Vorrei qui approfondire questa attitudine con il concetto di Karma Yoga che è: Metti impegno e sforzo nelle tue azioni, ma sappi che il risultato non dipende in modo diretto dalla quantità di sforzo che hai messo.

Yoga e controllo

Quando insegno a volte sono davvero convinta che il successo della lezione (ovvero quanto la persona sia “in yoga” e si senta connessa a termine della pratica) dipenda da me: dal tono della voce, la struttura delle sequenze, come mi muovo nella sala

Ma la realtà è che con Yoga non funziona proprio così. Yoga è un fatto parecchio personale. Come insegnanti guidiamo un’esperienza e prima ancora studiamo e ci creiamo tutta una cassetta degli attrezzi per farlo nel modo più efficace. Ma il risultato, come si sente la persona al termine, non dipende in modo diretto dal nostro sforzo.

Quella che definiamo mania del controllo è l’ossessione verso il risultato dell’azione. Lo spazio tra causa ( l’input della mia azione) ed effetto (il risultato di essa) si fa strettissimo, talvolta soffocante.

Controllo sulle situazioni, persone, pensieri, stati d’animo…

Karma Yoga: compiere un’azione con attitudine Yoga

Nello Yoga si da molto importanza al concetto di Karma, che possiamo tradurre come azione. Ed il Karma Yoga significa fare un’azione con attitudine Yoga. Questa attitudine è il disinteresse nei confronti del risultato. Il Karma Yogi sa che il risultato delle azioni non dipende da lui. Il risultato arriva come un dono, anche se non si accorda alle proprie aspettative. Ne ho parlato ampliamente nell’articolo Isvhara Pranidhana: Portare la divinità nella propria vita.

Nella Bhagavadgita Krishna, il Maestro, spiega ad Arjuna, l’allievo, che due sono gli stili di vita per raggiungere la felicità secondo lo Yoga: il Sannyasa Yoga (l’ascesi e quindi la rinuncia all’azione) ed il Karma Yoga: lo yoga dell’azione. Krishna descrive il Karma Yogi:

Abbandonando gli attaccamenti, i karma-yogi compiono l’azione in modo puro (senza essere spinti dai gusti, piaceri e dispiaceri) con il corpo, la mente, l’intelletto ed anche i sensi, al fine della purificazione della mente.

Colui che è dotato di Karma-yoga, abbandonando il risultato dell’azione, ottiene una compostezza nata dall’impegno verso una vita di karma-yoga. Mentre colui che non è impegnato in una vita di karma-yoga, trascinato dai desideri, è legato, poiché è attaccato ai risultati (dell’azione)

(Bhagavadgita – capitolo 5 verso 11-12)

Cosa si prova ad essere te?

Perché divento teso nel guidare una lezione di yoga nella speranza che la persona che sta praticando al termine provi uno stato simile a quello che nella mia testa significa “bene”. Che cosa significa stare bene per me? Nient’altro è che una serie di gusti e preferenze, che peraltro voglio applicare ad una persona diversa da me e alla fine mi rende teso.

Questo mi porta ad aprire la finestra su un altro concetto che mi è particolarmente caro in questo periodo. Che è impossibile sapere cosa si prova ad essere te. Per quanto ci sforziamo nel raccontarci l’uno con l’altro vi è sempre un margine di incomprensione, nessuno è in grado di spiegarsi fino in fondo. E forse sta proprio li la parte interessante, nel ciò che non è spiegabile o comprensibile dell’altro.

Se succede bene, se non succede meglio.

Karma Yoga è per me una frase che ho sentito spesso ripetere a Swami Ananda:

Se succede bene, se non succede meglio.

Non vi è rinuncia, ma anzi pieno impegno. L’azione è compiuta per il piacere stesso di farla, perché è la cosa giusta e con totale presenza. Questo accade anche per la mancanza di stress e tensione che nasce dall’eccessivo coinvolgimento con il risultato della azione stessa, il quale, ahimè, non dipende da noi ma da meccanismi complessi dei quali ci è dato di capire poco.

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